NEL LUOGO DELLA MERAVIGLIA
- Chiara Frizzera Zambelli
- 30 ott 2020
- Tempo di lettura: 3 min
GIORNO 98 (in super ritardo)

La matita scorre una ad una le linee beige del foglio stampato in A4, tra sfumature pastello.
Mi rilassa guardare questa piccola creazione, frutto di letture, esperienze, prove ed errori.
Un viaggio tra domande alla costruzione di una attenzione maggiore verso il mio corpo, la mia mente, la mia anima. Verso un equilibrio sensoriale, emotivo e fisico.
Come consuetudine degli ultimi giorni mi sono seduta al tavolo, con le luci soffuse della stanza, dopo essermi svegliata con calma, senza sveglia ed aver praticato yoga sul tappeto di rafia che faceva scivolare le mie mani in avanti quando provavo a mettermi come un cane con la testa all'ingiù. Mi sono seduta dopo aver preparato con cura ed amore la colazione per noi ed aver sistemato la cucina.
Ho bisogno di ordine attorno me prima di poterlo fare dentro me.
Oggi il collo tira più degli altri giorni e mi chiedo se abbia sbagliato qualcosa nella costruzione di questa routine. Il mio corpo mi sta parlando?
Accolgo e rifletto su quanto sto facendo e decido che oggi proverò a fare delle modifiche.
Piccole. Falsificherò l'ipotesi da brava scienziata prestando maggiore attenzione al linguaggio somatico.
A breve andremo al mercato, a scegliere tra le bancarelle di contadini del posto, ortaggi e frutta di stagione, doni della terra.
Oggi mi piacerebbe portarlo al "luogo della meraviglia" e poter osservare assieme la magia di quel posto incantato, tra linee d'acqua e di luce. Poter giocare a quei cliche d'innamorati seduti su una panchina al sole d'autunno, tra primi cappotti e sciarpe improvvisate, tra gambe sovrapposte e mani che si sfiorano, tra incontri di labbra che si bagnano. Come due liceali, al termine delle lezioni, giochiamo a dialogare di sogni e speranze, desideri ed aspirazioni.
In quel luogo della meraviglia non mi vedo solo con lui.
Con in mano un caffè americano d'asporto, il suo ciuffo biondo cenere e le scarpe arancioni in contrasto con i suoi calzini fatti a maglia da mani esperte e materne, dai colori accesi scelti dai suoi occhi che sognano un mondo a colori, siede accanto a me ad ammirare quel posto che lui stesso ha scovato e mi ha donato. Seduti su una panchina, come quindici anni fa, in un altro paese ma nell'oscurità. Ora invece siamo alla luce del sole, a mostrare le nostre fragilità e vulnerabilità umane, legate da geni in comune, da visioni di vita condivise, da vibrazioni d'affetto comunicanti. Parliamo di vita quotidiana, ridiamo di noi di storie mai accadute, immaginiamo futuri di collaborazioni.
Un secondo in più ed il caffè, per me d'orzo, lascia il posto ad un cono gelato, verde pistacchio, marrone cioccolato fondente con scorze d'arancia e nuance della terra con qualche touche violaceo, un delirio arabo. Accanto i suoi occhi diamante sorridono al mio essere bambina ed attenta come sempre, ascolta il mio divagare di pensieri ed idee, sempre pronta a indicarmi le perplessità e i dubbi del caso. Piena sostenitrice del mio essere altamente sensibile.
Ultimo morso e mi ritrovo a chiacchierare con le mani nascoste tra le tasche del cappotto mentre la guardiamo correre e giocare con i gabbiani incuriositi da quel suo continuo ricercare.
I suoi capelli lunghi e corposi son in pieno contrasto con quelli biondi e sottili della ricercatrice di sensazioni. Un patto di anime sotto il cielo di Dodoma ci ha unite e portate fino a qui. Dieci anni son passati e siamo ancora alla ricerca di noi, ma con spiriti meno giudicanti. Ce lo ricorda lei, con il suo fare da esploratrice quando viene a chiamarci per seguirla ed accompagnarla nelle sue scoperte. Entrambe le tendiamo le nostre mani, materne le sue, familiari non di sangue ma di spirito le mie ed andiamo ad osservare con il cuore quella che la vita ci offre.
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