DISTANZE FRA STANZE
- Chiara Frizzera Zambelli
- 28 ott 2020
- Tempo di lettura: 2 min
GIORNO 96 (in super ritardo)

Le note suonano su dei tasti bianchi immaginari, in un lento andante, tra diverse ottave, su e giù.
Le frequenze risuonano all'interno del corpo, prestatosi a gran cassa di questa sinfonia mattutina, prima del sorgere del sole.
Sono 432.
Sono le 6 e 52.
Dentro di me, a poco a poco, cambia la postura ed appoggio senza accorgermene la spina dorsale contro lo schienale di una sedia degli anni cinquanta offertami in dono.
A poco poco il respiro si stabilizza con respiri profondi, in un ritmo 444.
Le singole cellule si stanno rigenerando, cullate da un Mozart che potrebbe essere qualcun altro poiché non riconosco il pezzo.
Il cuore batte, stabilizzando il suo coro di onde e mi sento, piano piano, avvolta da altri moti che corrispondono a lettere greche che rilasciano ormoni.
Dopamina.
Dicono che noi altamente sensibili ne siamo dipendenti, alla continua ricerca di stimoli, progetti, idee, emozioni.
A malincuore so che oggi non potrò far visita a mia madre e a mio padre e chissà tra quanto li potrò rivedere.
Mi perdo in questo pensiero che faccio fatica a digerire e riprendo la scalinata di sol e diesis.
Immediatamente riesco a vedere piccole mani affusolate danzare su quella porcellana e si trasformano in colori pastellati.
Mi risveglia Oreste che in questi giorni è più chiacchierone del solito.
Si posiziona sul tappeto di rafia in attesa della sua dose di ossitocina tra coccole e carezze a volontà.
Mi accarezzo le mani e sento la pelle stremata, tirare e chiedere affetto anche per lei, qualche noce di burro di karitè per alleviare le pene di detergenti chimici e continui lavaggi.
La musica si riappropria della mia mente ed ora son in cima ad un campo di grano in alta montagna, a passeggiare con loro, con camicie a scacchi rosse e nere, e fucsia e viola.
Io invece vestita solo di un sorriso.
Questa volta la distanza pesa più del solito e qualche lacrima scende.
Ripenso al pranzo di poche settimane fa, seduti al tavolo in salotto, divisi senza volerlo per colori: giallo e blu. Due colori che mi appartengono. Io seduta sul versante scuro capitanato da mio padre ed i miei due pilastri. Sul lato opposto il versante chiaro con a capo mia madre, mio fratello e la nuova famiglia che verrà. In quel mix di nuance, ruoli e futuri, tra pietanze prelibate, chiacchiere spensierate mi riportano le note che ora riconosco, una sinfonia di carillon.
Quello rosa, con la ballerina in tulle che roteava su se stessa con grazia e disinvoltura.
Quante volte mi perdevo a guardarla raggiungere la perfezione in un loop di movimenti.
Un sapore amore mi pervade ora la bocca. È quello della rinuncia di questo tempo a cui non voglio cedere il timone e così risalgo un'altra volta le note sulle ottave e respiro immaginando il prossimo pranzo assieme con chissà che colori.
Chiudo gli occhi ed ecco arrivare sorrisi accompagnatori di sfumature primaverili.
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