ELOGIO ALLA NATURA
- Chiara Frizzera Zambelli
- 2 ago 2020
- Tempo di lettura: 2 min
GIORNO 33
Di nuovo fronte montagna. Di nuovo fronte Rocca. Di nuovo il mio sguardo sul Mac pronta a ripartire con la mia routine, abbandonata nell'ultima settimana e recuperata negli ultimi giorni. Dalle notti insonni son ritornata a sogni profondi, complessi, pieni di simboli. Ho ripreso i miei passi, lo yoga, il contatto con la natura, il diario, l'agenda e son qui, seduta a godermi questo silenzio magistrale, rotto solo da suoni di cavallette ed uccelli, e qualche comparsa di motorini o macchine, piuttosto che voci in lontananza.
Un cane sta abbaiando al di là dell'edificio anni '70, color bronzo, che occupa la visuale rompendo la coerenza architettonica della zona.
Ho iniziato ad elencare le mie paure ma mi son bloccata. Con il pennarello rosso, quasi scarico, ho strappato un vecchio foglio dell'agenda ed ho seguito l'istinto. Come lo scorrere dell'acqua che fluisce ininterrottamente. Ma poi qualcosa é andato storto. Tabula rasa.
Un concerto di cavallette è ora protagonista di un climax sonoro. Davanti a me sulla piantina superstite dal rigido inverno, un insetto a me sconosciuto sta danzando tra le minuscole foglie, pronto ad inseminare, a dare vita ad un fiore.
Una portiera di un furgoncino sbatte e la voce di una ragazza giovane racconta le sue opinioni ad una voce maschile, profonda, adulta.
Pace. Assaporo questa pace, fatta di suoni che riesco a gestire. Che riesco ad isolare.
I fiori dei rododendri circostanti colorano le macchie prettamente verdi della mia visione. Palme alle basi aranciate tengono fede alla loro presenza. Ovunque il mio sguardo possa arrivare non coglie che verde. In alto, scuri cipressi si innalzano sul sentiero per il Bastione. In basso chiari ulivi popolano giardini custoditi come gemme preziose.
Rigogliosa natura che conosce il suo posto e presenzia con autenticità e poesia.
Quella natura che mi ha sempre accompagnato dalle finestre delle città abitate finora.
Il monte Finonchio compagno di alzate dall'infanzia all'adolescenza, fino all'uscita di casa verso la conoscenza, la formazione di una professione, l'indipendenza.
I campi dietro la ferrovia, dell'appartamento condiviso quando ero una giovane studentessa a Cesena.
L'albero introverso, alla finestra della mia stanza in Schlessische Strasse a Berlino, compagno di solitudini e riflessioni durante il mio Erasmus.
Il giardino della scuola materna fronte al mio monolocale in Via Padova a Milano, sito della mia prima esperienza di autonomia.
Ed ora qui, un magnifico terrazzo su di un interludio di cortili alberati, con giardini fioriti, in centro a Riva del Garda, cuore dei miei sentimenti. Un piccolo scrigno che mi regala gioie mattutine e momenti rilassanti.
Solo ora mi accorgo che dalle finestre delle mie stanze abitate in giro per il mondo avevo sempre lo sguardo su di un elemento naturale, pronto a regalarmi attimi di quiete, in momenti frenetici, di maschere sociali, di inadempienze strutturali al proprio essere.
Il mio è stato un richiamo alla alta sensibilità che non ha finito di compiere il suo lavoro, di riportarmi alla mia vera essenza di intimità.
Guardo il Bastione illuminato da dei timidi raggi di sole, circondato dal bosco e mi vien in mente quella volta che, passeggiando tra i sentieri boscosi nei luoghi d'origine, esclamai con energia e vigore la frase che tutt'ora ricordo impressa con una forza indistruttibile, proprio come quell'immagine.
Quanto meravigliosa è la Natura, dovremmo brindare ogni giorno alla sua bellezza e alla maestosità che ci regala!

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