GIUDIZIO E CASTIGO
- Chiara Frizzera Zambelli
- 9 ago 2020
- Tempo di lettura: 3 min
GIORNO 40

Inquieta mi aggiro per casa da stamattina.
Divano, sedia, sdraio, letto senza trovare riposo alcuno.
Oggi mi sono concessa un bagno al lago, prima dell’arrivo della folla.
Per un attimo quello shock termico ha anestetizzato non solo la mia pelle intollerante al sole, ma anche i miei pensieri allergici al silenzio.
Sono uscita dall’acqua con addosso una sensazione di purificazione. Con un senso di leggerezza che mi avvolgeva dai piedi al collo, al posto del telo scordato. Mentre i primi raggi di sole asciugavano una ad una le gocce che ricoprivano il mio corpo, ero finalmente presente a quel momento.
Senza l’ansia del dopo. Senza l’ansia del come. Il tutto destato da il brontolio dei nostri stomaci che hanno accelerato il nostro rientro, obbligato anche dall’arrivo dei turisti.
Mi sembrava di aver dato una svolta alla giornata di ieri ma son bastate poche disattenzioni a farmi scattare. Le scarpe fuori posto, un’osservazione su una mia sbadataggine, l’esclusione di alcuni miei quadri. Ed è forse stato questo il trig che ha attivato in me quella sinfonia giudicante con mille voci corali pronte ad innalzare canti di critiche e biasimi sulla mia persona.
Questo giudizio perenne tutt'altro che altamente sensibile. Altamente terribile.
Sul mio valore o meglio non valore. Sull’insicurezza congenita che fatico a scrollarmi di dosso nonostante terapie, formazioni e motivazioni.
Bloccata nel mio programma del colore. Impaurita di una possibile sconfitta nella scelta dei pigmenti o nelle pennellate. E risuona in sottofondo quel motivetto malvagio del “devi essere perfetta” appartenente alla playlist dell’ Essere Eccezionale per Esistere. Tutte maiuscole mi raccomando. Una preferita su Sensitify. Mi sento spessa da questi strati di paure di non essere all’altezza, di non saper trovare il proprio posto nel mondo quando la sua voce mi ricorda che sono viva e pertanto il posto c’è.
Il ciclo mi ha messo in Standby ma forse lo sarò fino a martedì nella speranza che la Santa che si festeggia e di cui porto il nome possa dar da festeggiare anche me.
Con una pizza ed un gelato.
Reprimo ogni forma di libera espressione se non questa di scrivere che risponde in un certo modo ad un senso di dovere, nei confronti di chi mi legge. Troppo speranzosa? Alla fine perché qualcuno dovrebbe trovare interessante scorrere queste parole? Perché io stessa dovrei essere fonte di ispirazione? Che egocentrismo.
Il giudizio si è preso possesso del mio Io a cui toglie il diritto etimologico di dire la sua sopprimendolo ad un mutismo generalizzato.
Guardo fuori il compensato posizionato già da ieri per esser dipinto.
Al suo posto, sopra lo sgabello. Mi accorgo di una voce in lontananza, fievole ma sincera che mi sprona a darle sempre più l’attenzione che merita. Guardo le cuffie blu oltremare in carica nel Mac, dove la lucetta al lato sinistro funge da segnale di monito “pronte all’uso”.
Rimango io ad attendere la mia di luce per spezzare questa coerenza narrativa che oggi forse mi sta più stretta del solito.
L’incompiuta. Ed è quella voce che ora ha preso forza sulle altre, ad invitarmi a fare per diventare perché l’immobile non può cambiare ma il mio atteggiamento si. Prendo coraggio e mi alzo per il mio rituale preparatorio da attenta alchimista nel mescolare colori ed emozioni come in qualsiasi altro atto creativo. L’importante è tenere immobile solo il giudizio, in primis di noi stessi.
Quello degli altri sarà domabile se prima riusciremmo a domare quello più imponente.
Il nostro Super Io. Il nostro Super Giudizio.
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