IL DESERTO DEI LIMITI
- Chiara Frizzera Zambelli
- 27 lug 2020
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 28 lug 2020
GIORNO 27
Nuova settimana, nuovo corso, nuovi spunti.
Ho passato la notte insonne, colpa della cena tardi, del menù diverso, del pisolino pomeridiano protrattosi troppo a lungo.
Mi ritrovo sfasata dalla mia routine, dalla mia quotidianità e dalle mie buone abitudini. Il mio treno ha deragliato.
Non vedo il lago da troppo tempo.
Non faccio yoga da troppo tempo.
Non mangio regolare da troppo tempo.
Il mio corpo e la mia mente si erano sintonizzati su frequenze altre ed ora devo ricominciare di nuovo.
Fatica. Nervosismo. Rabbia.
La responsabile son io che non son riuscita a limitare il campo, ad organizzarmi, a gestire gli imprevisti di salute. So di quello di cui ho bisogno ma non riesco a mantenere una continuità! Cosa mi blocca? Sono ancora troppo dipendente dalle variabili esterne.
E la pancia brucia. Il mio intestino ha preso il sopravvento sulla gola, ora più tranquilla.
Mille idee frullano in testa, tra lettere di presentazione, curriculum, alberi di sito, annunci, aggiornamenti di presentazione profili, vetrine, rubriche ma permane sempre poca praticità.
Ora la testa mi gira ed il respiro è affannoso, come se stessi annaspando in un mar mosso, incapace di scegliere verso quale meta dirigermi.
Confusione.
Mi aggrappo a questo momento quotidiano riportato alla luce del giorno. Forse anche lo scrivere di notte ha remato contro. Poca attenzione alla punteggiatura, alla rilettura, alle regole della sacra scrittura.
Esco finalmente sul terrazzo e mi godo la Rocca ed i canti degli uccelli in volo.
Non giudico lo scorrere dei pollici sull’Iphone mentre attendo che il Mac si ricarichi.
Non voglio trovare altre scuse per oggi. Ho bisogno di dedicarmi a questo momento con tranquillità, riuscendo a gustarmelo e ad assaporarmelo come tra poco farò con le pesche dell’orto di mio padre.
Frutti di un lavoro giornaliero, di sudore, di prove ed errori.
Cerco di riportare la mente al presente, senza farmi trasportare in lungo ed in largo da quei pensieri emotivi che son onde su di me.
Cerco di centrarmi e per farlo apro un momento la mia agenda con le mie domande giornaliere che fungono da bussole in questo futuro incerto.
Mi accorgo che inizio a respirare con il diaframma, che le arcate dentali si staccano come placche secondo la tesi, che inizio a prendere di nuovo il timone della mia energia. Un po’ come quando non hai guidato per un po’ di tempo e risali in macchina, non ricordandoti più la teoria ma non appena inizi ad ingranare la marcia si riapre un mondo di automatismi: frizione, freno, acceleratore.
"Allacciati la cintura", ricorda una voce fuori campo. "La sicurezza prima di tutto", sottolinea. Mi viene da sorridere pensando a questo monito, ancora troppo esternalizzato verso gli altri e non verso me stessa. Trovare un equilibrio tra il mio mondo e di chi mi sta intorno. Forse è questa la sfida più importante. Troppo sbilanciata in fuori e divento invisibile ai miei occhi. Troppo sbilanciata in dentro e son gli altri a diventare invisibili.
Non c’è una ricetta stabilita. Dei grammi di libertà da pesare, dei millilitri di empatia da dosare ma solo una grande dose di flessibilità, in primis con se stessi. Certo sapere da che parte iniziare è fondamentale. Avere chiaro i propri bisogni per poter bilanciare le richieste dirette o indirette che siano. Ma credo che la cosa più difficile per noi altamente sensibili sia quella di saper mettere dei limiti. Riconoscerci il diritto di esser diversi e necessari ma non indispensabili. Mi chiedo se esista una correlazione con tratti narcisistici. Esserci per poter essere?
Il gioco non vale la candela.
Sembra impossibile. La legge la so alla perfezione ma quando devo metterla in pratica ahimè continuo a sbagliare.
Cosa ci sarà di così difficile nel mettersi al centro della propria vita? Sensi di colpa, remore, paura del giudizio e chi più ne ha più ne metta.
Rimane la domanda cardine della giornata di oggi, mentre sento che le arcate stanno iniziando a toccarsi, so che è giunto il momento di stacco. Chiudo tutto e per un paio d’ore dico addio alla tecnologia. Mi rendo conto solo ora che non avevo ancora rifatto il letto. Oreste occupa l’angolo destro, quello in fondo, dove dormo. Sistemo il piumone lasciandogli il suo spazio e sorrido. Lui l’ha capito come prendersi i suoi spazi.
Ora spetta a me.

Comments