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L'ESTASI DEL QUI ED ORA

  • Immagine del redattore: Chiara Frizzera Zambelli
    Chiara Frizzera Zambelli
  • 18 ott 2020
  • Tempo di lettura: 2 min

GIORNO 86 (in super ritardo)



Il suono delle piccole onde che si scagliano appena contro le rocce fa da sottofondo a quest’incantesimo che sto sentendo.

Una pioggia di luce cade leggera e soave su un lago leggermente agitato. Vago.

Una barca a vela all’orizzonte lo attraversa silenziosa, in solitaria verso la sponda opposta.

Respiro sotto quello strato bianco e azzurro che ormai è diventato consuetudine.

Ma non mi importa perché mi sento bene. Nonostante dei postumi di raffreddamento in corso, l’essere qui ora, sul ponte ad osservare l’orizzonte mi fa essere grata di ciò che mi circonda. Ripenso alla strada che mi ha condotto fino a qui.

Alle stradine semi deserte del centro storico, orma orfano di turisti.

Alle danze contagiose dei gabbiani in volo sopra la spiaggia degli Ulivi.

Allo sguardo in cielo, tra le distanze di foglie d’alberi che rispettano i propri spazi.

Al cambio traiettoria, sull’erba bagnata prima, sulla spiaggia di sassi poi, per sentirmi libera di prendere io ora i miei spazi.

Mi fa riflettere come le andature si siano modificate. Leggera e veloce prima. Lenta e faticosa dopo. A seconda di dove scioglievo un passo dopo l’altro il tempo era diverso. Fuori dal percorso consigliato, costruito, in cui ero solita anch’io camminare ho compiuto un gesto banale, forse, ma che testimonia come alla fine basta poco per uscire dagli schemi. Che basta poco per passare ad un’altra prospettiva.

Mi rimetto sul sentiero pedonale e giungo al mio pontile, ma mi accorgo che è occupato e così decido di aspettare sul piccole ponte ad osservare le onde, ad ascoltare i colori di oggi. Mi sento fatta. In estasi. Come se avessi inalato polveri stupefacenti tagliate a mano. Ma in realtà è meglio di così. La potenza del mio sentire da altamente sensibile mi fa brillare d’energia e la porto con me su quel pontile, ora che è tornato libero. Non mi ricordo più l’ultima volta che i miei piedi nudi hanno toccato questo legno scuro. Forse agosto. O settembre. Non importa.

Ora sono qui e con il vento in viso inizio il mio saluto al sole, al lago, al vento, alle anatre che orano si sono riappropriare di queste acque senza più corpi nudi a far da padroni.

Stavolta i piedi son stretti in sneakers nere di neoprene, le braccia riparate da materiali tecnici antivento.

Guardo l’orizzonte e so di essere nel luogo in cui ho bisogno di stare.

Qui.

Ora.

 
 
 

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