LE PAURE DELLA MEZZANOTTE
- Chiara Frizzera Zambelli
- 1 ago 2020
- Tempo di lettura: 2 min
GIORNO 32

Il suo sguardo malizioso si muove come una biscia lungo il suo corpo esile, non eretto, proteso in avanti, con la testa ricurva sulle sei corde, sulla scritta di un mantra antico, non mi serve niente.
La osservo muoversi tra movimenti di collo, di mani tra i capelli, di labbra socchiuse. Avvicinarsi energeticamente a lui, tra un accordo e l’altro.
Ed io nel mezzo. Invisibile. Angosciata.
All’improvviso rompo quel legame. Mi alzo dalla sedia di pelle bordeaux e mi dirigo verso di lei. In piedi ad un metro copro la visuale dell’artista ai suoi occhi da seduttrice e la fisso con un attitude riot da far invidia ai peggiori registi del cinema indipendente anarchico. Cosa inverosimile per la mia essenza da educazione da azione cattolica, contro ogni forma di violenza, eccetto quella contro me stessa. Passiva aggressiva.
Non ricevo nessun beneficio e maledico questo spirito di iniziativa goffo e le do’ la schiena. Un pubblico appassionato di scene drammatiche assiste in attesa della mia nuova mossa. Mossa verso di lui guardo quegli occhi ghiaccio che mi hanno scaldato per sere cuori ed ardori.
Ma ora non trovo più quella fiamma e quando la musica tace io con lei.
Un saluto, un bicchiere di gin, una carezza ed è già il tempo dei saluti. Dita con anelli sfiorano le sue da chitarrista. L’uscita è sulla destra ed io ingoio quella visione senza digerirla.
Su un viale del centro storico le due figure si allontanano verso una nuova via.
La rabbia mi assale e delle ceramiche sono i miei guantoni che lancio contro quell’immagine poetica, scaraventandosi sul porfido ma non su loro.
In ginocchio, con la gonna a falde rosa, sento il calore del suolo bruciare sulle rotule, sulle gambe fino allo stomaco.
Le mani raccolgono i cocci delle ceramiche orfani di una visione d’insieme. Una metà di una ciotola rossa simboleggia quella perdita. Quel ritorno a me stessa mentre lo sguardo cade su di uno scorrere caldo lungo il braccio. Caldo. Denso. Rosso. La ceramica sta piangendo lacrime di sangue del mio sangue. Di addio.
Un flusso indipendente scivola fuori dalla mia gola, dalla mia bocca apportando modifiche di armocromia. La gonna a falde rosa è tinta ora di verde vomito e dentro la mia testa iniziano a suonare dei rullanti con la voce che grida che devo scomparire anche se non ho voglia.
Mi sveglio trasudata e la luce in salotto è ancora accesa. Oreste ha scelto le sue gambe come cuscino e lo vedo riposare sul cuscino senape. Guardo l’ora. Le 00:22.
Lo bacio per riportarlo al mio lato sinistro.
Ho paura.
Ho paura di quello che non posso controllare.
Ho paura di quello che può distruggermi.
Ho paura di quello che posso perdere.
Lunedì ci sarà la luna piena ed ho appena letto un post dove si consiglia dar fuoco alle proprie paure.
Inizio a scriverle perché un solo giorno non basterà.
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