SI ALZI L'IMMAGINARIO!
- Chiara Frizzera Zambelli
- 6 lug 2020
- Tempo di lettura: 3 min
GIORNO 6

Chiudo gli occhi.
Mi aiuta a sentire meglio i suoni e a non farmi distrarre: dai ricordi di quadri appesi, dalle luci stroboscopiche del TR8, dalle foglie del Lucky Bamboo che tenacemente si arrampicano verso il soffitto, dal profumo di purezza della sua pelle.
Chiudo gli occhi e mi concentro su quei suoni, cercando di sentirli uno per uno: il basso che incalza, la voce in differita che entra piano e va a scemare, il sinth che rimbalza come palline dei flipper delle sale giochi di quando ero ragazzina.
Chiudo gli occhi e mi lascio trasportare, in un bosco in mezzo alle montagne, con le luci del primo sole che timidamente attraversano le foglie per dipingere qua e la' dei punti luce su un sentiero scosceso.
Vedo dei piedi, lattei, che con vigore cercano di allungare sempre più velocemente il passo, imitando una corsa mal riuscita.
Colpa dei sandali pitonati, tacco quattordici, che li legano nel movimento, come catene.
Vedo delle gambe, nude ed esili come dei tronchi di alberi appena piantati, che sembrano sforbiciare sopra terricci fangosi e pertanto debilitanti.
Una finta pelliccia oversize ricopre la schiena. È di un color marrone terra. Si confonde col suolo. Solo la pioggia vien d'aiuto per differenziarli. Scurisce quest'ultimo di due tonalità.
Le braccia cercano di far leva per affrettare la fuga.
Da chi? Non lo riesco a capire.
Le scorgo il capo. I capelli son raccolti in una crocchia maldestra che sta perdendo forma. Sono di un nero corvino, lucidato dalle gocce che danno ritmo.
Lasciano intravedere un collo alla Modigliani. Pare di porcellana da quanto è candido.
Improvvisamente scompare ed appare una fonte d'acqua, colpita da un sasso che disegna delicatamente delle onde concentriche che svaniscono verso l'esterno. E svanisce anch'esso con loro.
Ed eccola ritornare, stavolta in piedi, ferma. Ora non corre più.
Immobile, nella mano destra mantiene salde le sue catene bianche, ora sporche di fango e terra.
I piedi sanguinano di libertà e scorgo la sua folta chioma, ora prosciolta da legami fragili.
Si avvicina timidamente verso la riva e posso sentire il rumore dei sassi mossi ad ogni suo passo.
L'acqua del lago si avvicina avvolgendole le caviglie graffiate dalla lotta ramosa.
Molla la presa e i sandali caduti vengon rubati in sordina dalle onde, in un tira e molla con la riva.
Le mani scoprano le spalle ossute e lentamente il finto animale morto indossato cade a terra, ucciso da un colpo di fucile inesistente, di una battuta di caccia fittizia.
L'epidermide umana indifesa da barriere superflue muta in una pelle d'oca e scorgo un fondoschiena generoso in contrasto con il resto del corpo.
Ad ogni passo il gluteo si contrae, illuminato da una fioca luce di un satellite naturale nel giorno di piena.
Non mi rimane che osservare quelle spalle ossute scomparire, avvolte da quella folta chioma, ora mangiata da ondate solitarie.
In quell'istante la sedia girevole compie una rotazione di 180 gradi e scorgo nel suo sguardo l'attesa del giudizio, delle considerazioni, dei volumi del suo nuovo beat.
"Che ne pensi?" mi chiede. Ed elaboro il tutto.
Presente anche il mio migliore amico.
E' curioso come entrambi condividiamo lo stesso immaginario.
Usciamo sul terrazzo e mentre assaporiamo una tazza di caffè, l'ultimo della giornata, continuiamo a confrontarci, mixando scenari ed iniziando a gettare le basi per la prossima ripresa, ipotizzando location e armamentario.
Siamo affamati di condivisioni.
Siamo benefattori di visioni.
Siamo complici di creazioni.
Non potrei mai fare a meno di questo.
Fa parte di me.
Fa parte del mio essere ipersensibile.
Al mio fianco destro un musicista d'arte. Al mio fianco sinistro un narratore d'arte.
Ed io al centro. Dove mi piace essere.
Fatemi restare per sempre qui.
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