VIRUS DI ME STESSA
- Chiara Frizzera Zambelli
- 12 ott 2020
- Tempo di lettura: 2 min
GIORNO 82 (in super ritardo)
Con l’indice che sbuca da dietro abbasso la musica dal tasto sulla sinistra della cover verde bosco, mentre il pollice batte veloce su lettere digitali.
Mi sento in trappola.
Faccio fatica a respirare.
Mi sento premere il torace con fare vorace da tutto ciò che mi circonda: i sensi sono in preda a dinamiche assolute. Luce alta dei faretti, posate infilate in Tetris in carrelli colmi, la sua preoccupazione che scotta come febbre, la mia che è tacita in movimenti aridi.
Vorrei poter gridare e sbloccare qualcosa che non riesco a far uscire.
Ci provo ora con parole che escono senza voler soffermarmi troppo sulla forma.
È qualcosa che mi paralizza.
Sul divano affondo.
Mentre guardo l’episodio visivo dipinto quest’estate scendono lacrime e mi accorgo di non aver tinto sguardi, smorfie, labbra che dischiudono segreti. Il volto è grigio rispetto al blu del resto.
Gocce d’acqua per testare la tenuta del colore son diventati esperimenti esistenti che ora mi rimandano al tentativo. Al gioco. Mi manca quella parte di me che esplora senza paura di non diventare una pagina di una enciclopedia che ora si finanzia su pagine virtuali.
Provo a rileggere quel poco che ho scritto e già non mi ritrovo.
Vorrei uscire e andare in spiaggia a guardare le onde calmate dalla notte che diventa un vestito da portarsi addosso.
La chitarra acustica suona nelle mie cuffie blu, anche quelle, dove mi rifugio per non sentire il resto.
Sospiro e mi accorgo che i denti toccano con fare concitato le basi reciproche in stretti morsi che mi rimandano ad abbracci.
Ora non voglio contatto. Non cerco pressioni. Non sento il battito. Vomito ansia come la prima sbronza di cocktail mal riusciti per poter spezzare quel rituale d’obbligo di cerchie adolescenziali.
Mi sento virus di me stessa.
Messa alla prova da umori che coinvolgono l’emisfero destro come una damigella d’onore sull’altare del migliore amico che vorrebbe sposare. Che si vorrebbe fare. In dubbio. Costante.
Non ho fame ma divorerei cibi spazzatura come ansiolitici colorati in vasetti di vetro appoggiati su mensole nascoste in bagni sporchi di bianco.
Esiste sempre la scelta di virare volante e fare retromarcia da strade chiuse.
Vira!
Ora!
Vira!
Vorrei colore da spalmare su carte lucide che trasudino di abitudine e costanza.
Vorrei coperte a righe su gambe ed incroci di piedi.
Vorrei un respiro pieno e via tutto questo come un vento dell’est che si porta con sé tutto il marcio che divampa.
Sbaglio playlist.
Vorrei una sigaretta.
Vorrei uno sguardo diretto alla luce ai vertici del cosmo.
Vorrei dipingere coreografie con le stelle.
Vira!
Ora!
Vira

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